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La chiesa scomparsa di San Sebastiano

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Scomparsa da oltre  150 anni, era ubicata in un’area che all’epoca era aperta campagna,  corrispondente al campetto che porta la sua intitolazione, sullo stesso punto in  cui si continua a rinnovare l’arcaica tradizione del Falò. Sicuramente i nonni dei nostri  anziani avranno conosciuto le mura cadenti del tempio, approfittandone per  asportare le pietre, da utilizzarsi nella costruzione di case e recinzioni. In  alcune abitazioni sono murati interessanti conci lavorati, anche con fregi e  preziose decorazioni scolpite a motivi floreali e simbolici. In particolare,  presso il museo archeologico, nella sala dedicata al medioevo, è esposto un  reperto assai interessante che gli archeologi hanno definito “la scultura mutila  di elefante con gualdrappa, riconoscibile come sostegno di una vasca contenente  l’acqua lustrale disposta all’interno di un edificio religioso. La parte  posteriore è sommariamente lavorata e probabilmente era appoggiata al muro. E’  databile tra la fine del XVI e la prima metà del XVII secolo”. Questo oggetto in  arenaria, purtroppo incompleto, potrebbe provenire proprio dalla chiesetta di  San Sebastiano e le date proposte dagli studiosi sono molto significative,  perché lo determinano tra la fine del Cinquecento e la prima metà del Seicento,  periodi in cui nell’intera Europa si sono verificate catastrofiche pestilenze e  di conseguenza vi è un proliferare di edifici di culto dedicati a San  Sebastiano

Abbiamo provato a compiere alcune ricerche, per riuscire a  conoscere le vicende del nostro luogo di culto, che possiamo immaginare di  modeste fattezze, composto da un’unica aula coperta a capanna con soffitto  incannucciato, forse dotato di un ingresso laterale, di una piccola sacrestia,  di un campaniletto a vela e quasi certamente con un singolo altare. Gli anziani  hanno solamente il ricordo della sua esistenza e affermano che  i terreni di San Sebastiano si trovavano in quell’area occupata dal  campetto e dalle case limitrofe, utilizzata come aia ed orto, sino agli anni ’50  del secolo scorso. Anche i documenti d’archivio sono abbastanza poveri  d’informazioni ed il primo riferimento al suo culto, lo ritroviamo   in un inventario degli oggetti ed arredi presenti in parrocchia nel 1604,  in cui è segnalato un altare molto   piccolo dedicato a “Sant Sebastian”. Nel Libro dei Morti dal 1592 al 1765  leggiamo il lascito di Stefano Casu, deceduto il 23 marzo del 1605, con la  volontà di elargire, tra le altre donazioni, “dos soldos al altar de S. Sebastia”. Possiamo pensare che, non avendo specificato “a la Iglesia de S. Sebastia”, questa non fosse stata ancora edificata ed il culto si officiasse  solo in parrocchia. In questo libro notiamo che erano in tanti a portare il nome  di Sebastiano o Sebastiana. Nel registro delle Cause Pie, datato 1761 – 1800,  vengono registrate messe cantate in onore di San Sebastian, sino al 1779 e dopo  tale data non è menzionato né tra le festività e neppure tra i legati minori.  Pochi i documenti che siamo riusciti a trovare, attestanti l’esistenza della  chiesa, primo dei quali, una nota delle chiese rurali della Diocesi di Ales del  1763 che traduciamo dallo spagnolo: “A Villanovaforru vi sono due chiese rurali,  Santa Marina e San Sebastiano, entrambe senza dote”. Nello stesso periodo, il  curato Massidda rispondendo ad un questionario inviato dal vescovo monsignor  Pilo, comunicava l’esistenza della chiesa, con la statua del titolare al suo  interno; ciò lascia pensare che l’edificio fosse in condizioni accettabili.  Avremmo potuto apprendere maggiori notizie da un questionario del 1761, che  include un intero capitolo sulle chiese rurali, se la pagina contenente le  risposte di  Villanovaforru, non   fosse stata smarrita. E introvabili sono anche altre risposte, datate 1789;  proprio quelle, ci avrebbero permesso di capire se la nostra chiesetta fosse  ancora officiata o già in fase di decadenza, perché è da ritenere molto  probabile l’ipotesi che sia stata abbandonata già agli inizi dell’Ottocento. In  una nota del 21 marzo 1769, risulta nella lista delle chiese sconsacrabili, in  quanto evidentemente non si era riusciti ad assicurarle una dote che potesse  permetterne le necessarie manutenzioni ed il capitale per lo svolgimento della  festa. Non risulta infatti tra le tantissime chiese sconsacrate e fatte demolire  qualche anno prima, in seguito agli accordi tra Vaticano e Governo, per porre  fine al diritto d’asilo che permetteva ai fuorilegge di rifugiarsi nelle chiese  campestri e rimanere impuniti. Purtroppo nemmeno Il Dizionario sui paesi e   città della Sardegna, che pubblicò le ricerche di metà Ottocento da parte dello   scolopio Vittorio Angius, ci può essere d’aiuto, in quanto l’articolo su   Villanovaforru, di fatto non esiste. Un importante indizio ce lo fornisce il   Catasto De Candia, che risale al 1840 / 1870 e riporta  la pianta di Villanovaforru con la segnalazione della chiesa di Santa  Marina e la mancanza di quella di San Sebastiano o del suo eventuale rudere, che  se ancora esistente, sarebbe stata da definirsi campestre anche in quel periodo,  considerato che le ultime case del paese arrivavano solo qualche metro oltre Via Funtanedda

Perché una chiesa dedicata a San Sebastiano
Il protettore, martirizzato il 20 gennaio dell'anno 298, è venerato a Roma sin dall’anno 680, elevato a  taumaturgo per aver liberato la città da una grave epidemia;  il suo culto si diffonde in maniera capillare a partire dal XV secolo.  Insieme a San Rocco, che è celebrato principalmente nel nord Italia, diventa uno  dei tutori a cui affidarsi per scongiurare o liberarsi dagli effetti devastanti  delle pandemie, riscuotendo in Sardegna particolare consenso. Durante i momenti  più terribili, vengono edificate chiese in suo onore e specialmente in  concomitanza coi flagelli del 1579 / 1583 e del 1650 / 1657, definiti “Castigos  de Dios”. La peste di metà Seicento, dalla Spagna arrivò ad Alghero, flagellò  Sassari e seguendo le vie commerciali, percosse Oristano e Cagliari, colpendo  circa 150 dei 400 villaggi, in qualche caso dimezzando la popolazione, se non  addirittura annientando intere comunità, come nel caso della villa di Gemussi,  nelle vicinanze di Simala, che mai più si riprese ed in pochi anni finì con  l’essere del tutto abbandonata. È probabile dunque che la nostra chiesa venne  fabbricata nell’arco di questo periodo, con la speranza che venisse scongiurato  il contagio all’interno della comunità villanovese, che in effetti non sembrò  esserne stata colpita; il paesino, che contava circa 300 abitanti, non subì  ripercussioni demografiche

La festa
Il 20 gennaio, in tanti paesi del circondario, in suo onore si svolgono i falò, con l'intento di simbolizzare l'imminente fine dell'inverno e l'arrivo della primavera che rigenera la natura a propiziare la prosperità dei raccolti. A Villanovaforru l'organizzazione de "su fogadoni", il grande fuoco, è affidata all'Associazione Folkloristica Culturale Su Enau, con l'allestimento della pira da ardere, che viene benedetta dal parroco, prima di essere accesa. La festa si svolge nella serata del sabato vicino al 20 gennaio ed è anche un momento di convivialità gastronomica, con l'offerta di carne arrosto accompagnata da un bicchiere di vino

[notizie dal giornalino parrocchiale n. 18 del gennaio 2013]

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