Il nuraghe e il villaggio di Genna Maria
Il complesso nuragico si trova a circa 1 km dal paese ed è situato sulla cima di un colle a 408 metri d'altitudine. L'area è diventata un parco archeologico e naturalistico e si estende per una superficie di alcuni ettari. Le vicende dell'insediamento hanno origini nell'Età del Bronzo Medio, intorno al XVI secolo avanti Cristo, quando venne realizzata una torre circolare con l'utilizzo della pietra locale, l'arenaria. Questa doveva avere funzioni di controllo e la stessa denominazione, "Genna Maria", in latino "Janua Maris", ovvero la "Porta del Mare", confermerebbe il valore strategico di tale posizione, da cui si domina un valico sottostante che anticamente era una delle poche vie di comunicazione tra l'entroterra della Marmilla e la costa oristanese. Da questo punto, uno dei più panoramici in assoluto in Sardegna, si possono contare 53 paesi, si scorgono il colle cagliaritano della Sella del Diavolo, l'intero Golfo di Oristano, la catena del Gennargentu, la grande Giara, la vasta Pianura del Campidano, il Monte Arci, i rilievi della zona di Arbus e Villacidro, le rovine dei castelli di Monreale e Las Plassas. Intorno al XIV secolo, la torre che doveva evere l'altezza di circa 7 metri, viene inglobata da un bastione trilobato, formato da una cortina muraria a collegare ulteriori tre torri ed a creare un piccolo piazzale interno, nel quale viene ricavato un pozzo cisterna profondo circa 5 metri. Un'accessoria protezione, denominata antemurale e provvista di alcune torri, viene successivamente messa in opera. Nel IX secolo si sviluppa un villaggio che in parte si sovrappone alle possenti mura del nuraghe, ormai inutilizzato; i suoi ambienti non sono circolari, bensì sub-rettangolari, il che denota una certa influenza architettonica sviluppatasi grazie a contatti esterni che portano all'evoluzione costruttiva delle case a corte. Sono una decina di abitazioni che potevano ospitare non più di un centinaio di persone, dedite prevalentemente ad una economia di sussistenza agropastorale ma anche specializzate nel restauro dei grandi contenitori, con l'utilizzo di grappe in piombo e forse impegnate in attività metallurgiche di fusione, come parrebbero segnalare alcuni ambienti in quell'area del villaggio che è ancora sotto scavo. Il detto "Genna Maria fumada ma no coi pani", ovvero "a Genna Maria si vede il fumo ma non è quello della cottura del pane", è riferito proprio a questa presunta attività. Alla fine dello stesso secolo l'insediamento viene abbandonato repentinamente a causa di un incendio ed il crollo delle coperture, seppellì tutti gli utensili che si trovavano al suo interno, conservandoli sino ai nostri giorni, perchè il villaggio non venne più popolato. Dopo un lunghissimo abbandono ed una forse sporadica frequentazione, dal IV secolo a. C. in piena dominazione punica, la torre centrale ed il cortile vengono riutilizzati come luogo di culto in onore delle divinità legate al ciclo agrario, protettrici delle messi; le centinaia di lucerne, testimoniano un assiduo utilizzo di questo spazio, nel quale praticare anche sacrifici cruenti di animali, immolati e bruciati. Il santuario ebbe vita sino alla tarda epoca imperiale, almeno sino al V secolo, nonostante il cristianesimo fosse già diventato religione ufficiale
Il sito, dimenticato, nel corso dei secoli a causa dell'azione erosiva e dell'accumulo di polvere e terra, scomparve alla vista, abbandonato anche dalla memoria umana, benchè nelle mappe continuasse ad essere identificato come Nuraghe Genna Maria. Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Brigata paracadustisti Folgore, stanziata a Villanovaforru, lo utilizzò come punto di riferimento, segnalandolo con un pilastro trigonometrico, mentre i proprietari del terreno, in occasione delle arature, riportavano alla luce frammenti ceramici e monetine. Agli inizi degli Anni '60, grazie all'intuizione di un giovane maestro appassionato di archeologia, Giovanni Pusceddu, eletto sindaco diversi anni più tardi, l'amministrazione comunale s'impegnò a sensibilizzare la Sovrintendenza sull'importanza di intraprendere scavi mirati sulla cima della collina. L'Arma dei Carabinieri diede un contributo notevole alla causa, effettuando con l'elicottero rilievi fotografici che confermarono la presenza di una serie di ambienti sepolti, cosicchè ottenuto un primo finanziamento, nel 1969 ebbe inizio l'incredibile avventura, che ha riportato alla luce il tesoro di Villanovaforru e contribuito a creare nuovi posti di lavoro. Il Comune acquistò l'area e gli scavi rivelarono le strutture in pietra che conservavano i loro preziosi ricordi, che inzialmente vennero depositati in quello che era l'ex Monte Granatico, divenuto nel 1982 sede del museo che ospita gli oggetti pazientemente e sapientemente restaurati
Il complesso è custodito ed accessibile previo pagamento di un biglietto; uno spazio allestito con pannelli esplicativi, introduce alla visita che è guidata
Il sito, dimenticato, nel corso dei secoli a causa dell'azione erosiva e dell'accumulo di polvere e terra, scomparve alla vista, abbandonato anche dalla memoria umana, benchè nelle mappe continuasse ad essere identificato come Nuraghe Genna Maria. Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Brigata paracadustisti Folgore, stanziata a Villanovaforru, lo utilizzò come punto di riferimento, segnalandolo con un pilastro trigonometrico, mentre i proprietari del terreno, in occasione delle arature, riportavano alla luce frammenti ceramici e monetine. Agli inizi degli Anni '60, grazie all'intuizione di un giovane maestro appassionato di archeologia, Giovanni Pusceddu, eletto sindaco diversi anni più tardi, l'amministrazione comunale s'impegnò a sensibilizzare la Sovrintendenza sull'importanza di intraprendere scavi mirati sulla cima della collina. L'Arma dei Carabinieri diede un contributo notevole alla causa, effettuando con l'elicottero rilievi fotografici che confermarono la presenza di una serie di ambienti sepolti, cosicchè ottenuto un primo finanziamento, nel 1969 ebbe inizio l'incredibile avventura, che ha riportato alla luce il tesoro di Villanovaforru e contribuito a creare nuovi posti di lavoro. Il Comune acquistò l'area e gli scavi rivelarono le strutture in pietra che conservavano i loro preziosi ricordi, che inzialmente vennero depositati in quello che era l'ex Monte Granatico, divenuto nel 1982 sede del museo che ospita gli oggetti pazientemente e sapientemente restaurati
Il complesso è custodito ed accessibile previo pagamento di un biglietto; uno spazio allestito con pannelli esplicativi, introduce alla visita che è guidata